La storia e le origini del Lotto
Forse molti non sanno nemmeno
che il Lotto alla sua nascita non si chiamava così.
La parola "lotto", di antichissima origine germanica,
esisteva già molto prima del gioco stesso e designava,
in genere, giochi a sorte basati su un'estrazione. Il vocabolo,
infatti, veniva usato per chiamare l'oggetto, simile a un
disco o a un ciottolo, che veniva estratto o gettato per decidere,
sotto l'influsso divino, divisioni di proprietà e simili.
Il Gioco del Lotto, però, almeno nella formula che
conosciamo in Italia, deriva direttamente da una pratica che
si teneva a Genova nel XVI secolo e che, perfezionata con
l'andare del tempo, fu successivamente estesa a tutta la nostra
Penisola. Si trattava di scommettere sui nomi di personaggi
"eleggibili" a cariche pubbliche. Proibito e clandestino
agli inizi, il gioco divenne legale nella Repubblica marinara
nel 1576, grazie ad una legge costituzionale che stabilì
che il Maggior Consiglio della Repubblica potesse eleggere
120 padri fra i cittadini più meritevoli "per
prudenza, per virtù i migliori", i cui nomi venivano
immessi in un'urna detta Seminario o Seminajo, dalla quale
ne venivano estratti cinque, due volte l'anno.
L'uso di scommettere sulle estrazioni si chiamò, quindi,
Giuoco del Seminario.
Agli appassionati e numerosi scommettitori veniva data l'occasione
di tentare la sorte con un'estrazione di cinque nomi (casi
favorevoli) su centoventi imbussolati (casi possibili). Dapprima
le scommesse nacquero spontaneamente tra singoli, ma ben presto
ci fu chi accettò scommesse da più persone e,
infine, si formarono società che tenevano banco a particolari
condizioni e che costituirono le prime regole del gioco.
I primi gestori del gioco non si limitarono ad accettare le
scommesse solo su un nome, ma si diedero a scommettere su
due e anche tre nomi, dando vita alla diversificazione delle
giocate in "estratti", "ambi" e "terni"
che, per parecchio tempo, furono le sole combinazioni su cui
si basò il gioco.
Ancora proibito a più riprese per il dilagare delle
scommesse "clandestine", solo nel XVII secolo i
Serenissimi Collegi, su proposta della Camera (un Ministero
delle Finanze dell'epoca), ribadirono la proibizione del gioco
ma, allo stesso tempo, previdero che il Seminario potesse
essere tenuto da chi ne avesse ottenuto la licenza, dietro
pagamento di un diritto concessionario.
Dovendo rendere conto di un giro di affari sempre più
crescente, i "tenitori" del gioco pensarono di cautelarsi
contro il rischio di pagare eventuali vincite che fossero
superiori all'incasso, costituendo un fondo premi chiamato
"Monte delle scommesse" da ripartire fra i vincitori,
lasciando così assicurato agli organizzatori il margine
di guadagno preventivato. Qualora nessun nome fosse stato
indovinato, e questo accadeva piuttosto spesso, le poste venivano
restituita (naturalmente private dell'aggio acquisito dal
tenitore), oppure le somme per premi non distribuiti si sommavano
al montepremi dell'estrazione successiva.
Era ormai nato il gioco del Lotto.
La sua fama raggiunse presto tutta la Penisola e le scommesse
iniziarono ad arrivare anche dagli altri Stati Italiani. Gli
innegabili elementi di attrattiva che presentava il gioco
di Genova, il mordente della scommessa e il miraggio di conseguire
con la medesima posta diversi guadagni attraverso un gioco
vario di probabilità, portarono il Lotto ad una diffusione
vastissima e ad un ingente giro di scommesse.
A
Napoli
Con un secolo di ritardo
rispetto a Genova, il Lotto approdò anche a Napoli.
Come quello genovese, il gioco fu chiamato inizialmente "Seminario
di Napoli", ma ben presto stabilì la sua originalità
diventando "Nuovo Lotto di Napoli".
La prima estrazione avvenne nel 1682. Ma si trattò
di una nascita disordinata e lenta: dalle prime estrazioni
con cadenza annuale, si passò lentamente alle due e
alle tre estrazioni all'anno. Nel 1689 il gioco fu abolito,
finché nel 1713 fu definitivamente ristabilito con
tre estrazioni annuali, che furono portate a nove nel 1737.
Nel 1774, alle nove estrazioni se ne aggiunsero altre nove
del lotto di Roma, finché nel 1798 fu stabilito che
tutte le diciotto estrazioni fossero fatte nella città
di Napoli. Nel 1804 le estrazioni furono portate a 24. La
gestione del gioco fu effettuata fino al 1798 con il sistema
dell'appalto, per poi passare sotto la giurisdizione di una
Amministrazione speciale.
Sotto la dominazione francese il gioco continuò ad
effettuarsi con regolarità e nel 1807 fu istituita
una "regia interessata" affidata all'imprenditore
Carlo Emanuele Guebard di Soletta, per la durata di sei anni,
dietro pagamento di un canone annuo di duecento ottantasei
mila ducati, oltre alla compartecipazione del governo sugli
utili in maniera preventivamente stabilita.
Nel 1810 il contratto venne però sciolto per le gravi
perdite subite dall'appaltatore. Il gioco fu, così,
nuovamente amministrato direttamente dal governo. Intanto
le estrazioni erano diventate 26 nel 1811.
Ferdinando IV di Borbone, con decreto del 26 marzo 1826, ordinava
il lotto in servizio autonomo con la denominazione di "Amministrazione
de' Regali Lotti" con a capo un Direttore Generale, sotto
gli ordini e alle dipendenze del Ministero delle Finanze.
Nel 1817 il numero delle estrazioni fu portato a cinquanta,
delle quali venticinque dette ordinarie e venticinque straordinarie.
I ricevitori venivano chiamati "prenditori" o "postieri"
e le ricevitorie "posti" o "botteghini".
Questi ultimi, nel 1843, erano circa mille, distribuiti in
tutto il territorio del Regno, esclusa la Sicilia.
Le estrazioni si svolgevano ogni sabato a Napoli, con grande
solennità e pompa, nel Palazzo della "Vicaria",
ove sedevano i tribunali, in una grande sala, appositamente
addobbata e nella quale veniva innalzato un palco in cui prendevano
posto le autorità della Gran Corte dei Conti, in toga.
Due persone del popolo venivano chiamate sul palco per assistere
alle operazioni.
Il Lotto a Napoli continuò a prosperare nonostante
alcune interruzioni (nel 1861 anche Garibaldi ne decretò
l'abolizione), fino ad acquistare, in seguito, il primato
come gettito fra tutte le province italiane dopo l'unificazione
(ecco forse spiegato il motivo per il quale il Lotto viene
considerato un gioco inventato a Napoli).
A
Roma
Al momento in cui il Lotto
penetrò negli Stati Pontifici non mancarono, data la
funzione morale di Santa Romana Chiesa, gli energici divieti
contro l'uso del gioco. Già nel 1666 papa Alessandro
VII Chigi, su sollecitazione di Filippo IV re di Spagna che,
allarmato per il diffondersi del Lotto nei suoi domini, aveva
chiesto a Roma di intervenire affinché il gioco fosse
vietato sotto il profilo religioso, aveva emanato una bolla
di proibizione. Il Lotto venne condannato quale peccato gravissimo
e contro i giocatori si comminava la pena della scomunica
ipso facto incurrenda.
Altre proibizioni seguirono al divieto di papa Fabio Chigi:
nel 1676 e nel 1685 sotto il pontificato del beato Innocenzo
XI; nel 1696, con Innocenzo XII; nel 1702, nel 1704 e 1719
con papa Clemente XI che giunse perfino a promulgare un'enciclica
l'11 gennaio 1704. Di Papa Clemente XI si narra che avesse
incessantemente e assiduamente vigilato per la totale distruzione
dei "lotti in Roma e in tutto il suo Stato volendo onninamente
porre freno all'ostinata temerarietà di simili contravventori
e dare rimedio oportuno a sì gravi pregiudizi, e ottenere
l'intiera estirpazione ad un delitto cotanto pernicioso".
Ma, così come si era verificato per altri Stati, ogni
buona volontà dei Pontefici romani nella lotta contro
il Lotto ebbe risultati scarsissimi. Il gioco clandestino
prosperava e procurava danni ingenti non solo ai giocatori
- che spesso venivano truffati da speculatori senza scrupoli
- ma anche allo Stato - che assisteva agli spostamenti di
grossi capitali verso gli Stati in cui il Lotto era permesso.
Per trovare un rimedio a questa situazione, Clemente XI delegò
lo studio della materia ad una apposita Congregazione di teologi
e canonisti con a capo il cardinale Tolomei. La commissione
d'inchiesta giunse alla conclusione che non si sarebbe dovuto
permettere "ne in Roma, ne altrove dello Stato Ecclesiastico
l'uso di simili giuochi, se non sotto le condizioni e cautele,
e con il regolamento dalla medesima Congregazione proposto
e insinuato".
Innocenzo XIII, suo successore, dichiarò quindi l'ammissibilità
del gioco del Lotto. Con un editto del 19 luglio 1721, Monsignor
Falconieri - Governatore di Roma e Vice Camerlengo di Santa
Romana Chiesa - ne diede pubblica notizia, avvertendo che
rimanevano in vigore i precedenti bandi che vietavano la partecipazione
ai lotti stranieri.
L'istituzione ufficiale del Lotto a Roma, però, ebbe
vita breve. Papa Benedetto XIII nel 1725 abolì il gioco
e con tre diversi editti ordinò che fossero comminate
ai trasgressori severe pene corporali e pecuniarie. Considerato
che le proibizioni non suscitarono nessun effetto, Benedetto
XIII emanò una Costituzione con la quale alle pene
temporali a carico di tutti i partecipanti al gioco aggiunse
anche pene spirituali, quali la sospensione a divinis per
gli ecclesiastici e della scomunica latae sententiae per tutti
gli altri (nessuno dei colpiti dalle suddette pene avrebbe
ottenuto il beneficio del Sacramento della confessione con
l'assoluzione, salvo che in pericolo di morte, da altri se
non dal solo Pontefice o con la sua autorizzazione).
Solo dopo quattro anni però il Lotto venne ristabilito
e stavolta definitivamente. Clemente XII infatti, con un suo
motu proprio, decretò che, a partire dal 1732, il Lotto
fosse introdotto nuovamente nella città di Roma e in
tutto lo Stato Ecclesiastico, con un nuovo metodo.
Il sistema si basava sulla lista di novanta zitelle nubili
romane, scelte a turno nei vari rioni di Roma. Le cinque sorteggiate
ricevevano in dono la veste nuziale e cinquanta scudi a titolo
di sussidio dotale. La gestione non fu più appaltata,
ma affidata direttamente all'Arciconfraternita di San Girolamo
della Carità, fondata da San Filippo Neri, con garanzia
della Camera Apostolica. La sovraintendenza spettò
al Tesoriere Generale. La destinazione degli utili, detratte
le spese e i pagamenti necessari e accantonata una quota a
titolo di fondo di riserva in caso di perdita in qualche estrazione,
veniva depositata nella Depositeria Generale, a libera disposizione
del Papa il quale, a sua discrezione, destinava i sopravanzi
in aiuto di varie opere di pietà.